Federica Festa
Fare teatro con i piccolissimi


Prima lezione in un asilo, 2001

Sto per bussare alla porta.
Io sono un clown e so far ridere. Faccio ridere anche i grandi! Sono una comica. Ti pare che non faccio ridere i bimbi piccoli, che sono più semplici? Devo stare tranquilla. Sono tranquilla? Mi sono messa il mio vestito più buffo, un abito vivace con la stampa di un paesaggio naïf, un grande cappello colorato e un naso rosso. Il trucco bianco sulle sopracciglia, il rosso alle guance e sulle labbra, per esaltare il sorriso. E poi ho una valigia piena di cose da fare: puppet, magie, cappelli... Sono tranquilla? Quanti sono? Quattordici? Ah, ah, ah, quattordici nanetti e ho paura?! Io che ho recitato al Teatro Brancaccio e al Teatro Valle. Ma dai, Federica! Entra, su!
Busso.
«Posso entrare?».
Le maestre m’invitano a entrare.
«Bimbi, guardate chi è arrivata? Ma chi è?».
Nella stanza i bimbi si fermano, interrompono i propri giochi. Qualcuno si immobilizza. Direi tutti. È quello che si chiama gelo in sala. Sono spaventati, veramente. Non è l’accoglienza che mi aspettavo, e per loro non è una visita che si aspettavano. Avanzo velocemente al centro mentre tutti i bimbi si aggrappano pian piano alle gambe delle educatrici. Più avanzo e più qualcuno inizia a piangere. Altro che flop! Una valle di lacrime!
Sono un’estranea. E faccio paura.
Ho il viso nascosto dal naso finto, dal cappello e dal trucco, e questo aumenta la paura dell’ignoto.
Mi muovo e parlo velocemente, senza rispettare i loro tempi e la loro necessità di conoscenza visiva, prima che uditiva o addirittura verbale.
Quando ormai le lacrime hanno preso il sopravvento su molti, faccio una cosa istintiva, che dopo diciannove anni ancora ricordo vividamente. Mi tolgo il cappello rosso.
Per me è una resa, è come gettare la spugna. Incredibilmente però vedo, nei loro occhi, cadere una barriera: qualcuno smette di piangere, qualcuno si toglie il moccolo sulla manica.
E io capisco che hanno voglia di conoscermi davvero, senza trucchi e maschere.
Sento che sta cambiando qualcosa. Allora faccio un altro gesto istintivo: mi siedo. Finalmente sono alla loro altezza, così possiamo guardarci meglio negli occhi, sentirci alla pari, e queste due cose sono un buon inizio per conoscersi, per trovare un punto di vista comune.
Tiro fuori dalla valigia un flacone di bolle di sapone e come una bolla mi sciolgo tra loro: sconfitta l’attrice che è in me, ma vittoriosa la persona.

La strada è stata complicata, piena di buche, ma da quella prima volta mi è stato chiaro che avrei dovuto essere me stessa, portare i miei giochi e la mia fantasia e condividerli senza quelle finzioni, quei trucchi e quegli orpelli colorati buoni per le lunghe distanze spettatore-attore di un circo o di un teatro stabile.


Leggi qui la seconda volta.